Cyberbullismo, è un termine coniato nel 2002 dall’educatore canadese Bill Belsey per descrivere le specificità del bullismo declinato al digitale. Ma come se ne parla in rete?
Insieme a Sistemi Informativi e Parole O_Stili abbiamo analizzato oltre 4000 social media post per provare a rispondere a questa ed altre domande.
In quest’ultimo anno, più che mai, ci siamo accorti come un uso corretto della rete e degli strumenti digitali possa avere dei vantaggi enormi sulle nostre vite. Così come ci siamo accorti anche dell’esatto contrario. Guardando ai dati infatti, nel periodo del primo lockdown del 2020 le segnalazioni di casi di cyberbullismo in Italia sono aumentate in maniera esponenziale e preoccupante. Il bullismo, nella sua versione cyber, è una delle minacce più temute dagli adolescenti nell’era del Covid-19: addirittura il 60% di loro ammette di essere stato vittima di una delle varie forme di violenza psicologica online.
Oggi nel social web viene rilasciata un’enormità di dati ed informazioni; basti pensare che ogni minuto vengono postati 500 mila tweet e 65mila foto su Instagram. Durante la pandemia questi numeri sono esplosi, il tempo medio passato sui social media in Italia è arrivato a quasi due ore per persona e i social sono diventati il luogo dove ci teniamo informati, rimaniamo in contatto con le persone che conosciamo ma anche dove ne incontriamo di nuove; naturale quindi cercare i riflessi culturali della nostra società nel mondo online, dove – solo in Italia – ogni mese 40 milioni di utenti pubblicano contenuti ed esprimono opinioni riunendosi in comunità di interesse e creando trend di discussione.
Quasi 4.000 post in poco più di 10 giorni, questo il risultato del “carotaggio” social su Instagram e Twitter. L’analisi dei post contenenti l’hashtag #cyberbullismo dal 7 al 19 febbraio 2021 ha dimostrato che il tema, già di forte interesse, ha riportato un ulteriore picco di discussioni a cavallo del Safer Internet Day 2021, la Giornata mondiale dedicata all’uso positivo di Internet, caduta quest’anno il 9 febbraio. Twitter e Instagram si dividono quasi equamente i volumi di conversazioni sul tema #cyberbullismo, con una leggera prevalenza del primo: 1.942 tweet contro i 1.808 post di Instagram.
Twitter, non solo hate-speech

Dall’analisi degli hashtag e delle parole più utilizzate, emergono i temi della “solitudine sociale” e “delle troppe ore sul web”, fenomeni probabilmente acuiti dal periodo di distanziamento sociale che stiamo vivendo. Il problema sembra anche portare con sé un’indicazione della soluzione, visti i molti riferimenti al binomio adulti-adolescenti e alla necessità di insegnare il rispetto per l’altro passando anche dallo lo studio del digitale nelle scuole.Tra gli account più ripresi, in termini di retweet e mention, l’utenza Twitter dell’Arma dei Carabinieri che ha diffuso un’infografica a fumetti con alcuni consigli su come affrontare prepotenze e minacce.
Instagram, le parole fanno più male delle botte
“Il bisogno di essere ascoltato” e “non sentirsi al sicuro online”, questi i principali temi che si rilevano più frequentemente nelle conversazioni su Instagram. L’account più taggato nelle foto è quello della Polizia di Stato; mentre il post che ha ricevuto più like è quello pubblicato dalla “iena” Giulio Golia che ricorda di essere stato bullizzato dai compagni della scuola primaria per il suo aspetto fisico e le sue origini. Racconta che “bulli e bullizzati ci sono sempre stati”, ma ora è tutto diverso a causa del potere di amplificazione della Rete.
Questi solo alcuni spunti tratti dall’ebook La parola #cyberbullismo. Come se ne parla in rete e come se ne dovrebbe parlare, realizzato in collaborazione con Sistemi Informativi e Parole O_Stili.
Per approfondire
Gli Activity Kit di IBM.
Le schede didattiche di Parole O_Stili: